Se vogliamo evitare di piangerci addosso ogni volta che c’è un terremoto, dobbiamo cambiare anche le norme, incentivare fiscalmente chi mette in sicurezza gli immobili e correggere immediatamente alcuni paradossi. Prendiamo i più evidenti. Oggi se uno vuole vendere una casa, o anche solo darla in affitto, è obbligato per legge a produrre il certificato di efficienza energetica, che specifica in che classe di consumo si colloca l’immobile. Ma non è invece tenuto ad allegare il certificato di agibilità che, tra l’altro, attesta anche la conformità alle norme antisismiche. Come se fosse più importante far chiarezza su quanto ci costerà la bolletta della luce che sapere se una casa è in grado di resistere o no a un medio terremoto. Il fatto è che il certificato energetico — giusto, per carità — è imposto da una direttiva europea mentre quello di agibilità da leggi nazionali che però non lo prescrivono come un obbligo.
Un secondo paradosso è quello dell’assicurazione sui terremoti: tra le centinaia di agevolazioni fiscali esistenti (detrazioni, deduzioni) non c’è quella per chi ha sottoscritto la polizza antisismica. La questione di introdurre questo tipo di assicurazione in forma obbligatoria, almeno nelle zone più a rischio, è dibattuta da molti anni. Forse sarebbe troppo onerosa. Proibitiva per molte famiglie e comporterebbe un costo eccessivo per il bilancio pubblico se dovesse essere lo Stato a farsene carico. Ma sarebbe giusto, intanto, consentire almeno di scaricare parzialmente dalle tasse il premio pagato. Infine, bisogna trovare il modo di sbloccare il bonus del 65% sulle ristrutturazioni antisismiche — norma utilissima — anche per chi ha redditi così bassi che non può detrarre nulla o comunque ne avrebbe scarsi vantaggi. Il governo ha promesso di intervenire con la prossima legge di Bilancio. Sarebbe un buon inizio.