Sono soggette alla Vigilanza europea ma la ostacolano, mettendo a disposizione dati scarsi. Molte non si sono adeguate agli standard contabili. Hanno ricevuto gli aiuti più corposi ma sono solo a metà del guado. Parliamo di banche ma per una volta, non di quelle italiane. Bensì quelle tedesche.
BACCHETTATE DA WASHINGTON
A bacchettarle è un rapporto dell’Fmi, elaborato dopo la consultazione annuale con la Germania prevista dall’istituto di Washinghton. Una visita di routine per fare il punto sull’economia, dai risultati choc.
ECONOMIA SOLIDA, MA
In generale, l’economia tedesca è solida. “La crescita dei consumi privati è stata sostenuta dal mercato del lavoro persistentemente forte e da prezzi dell’energia più bassi, mentre i consumi pubblici e gli investimenti sono rimasti a galla – si legge nel report – L’avanzo delle partite correnti ha continuato a ampliarsi in modo significativo, raggiungendo l’8,5 per cento del PIL nel 2015, come riflesso dei prezzi in calo delle materie prime e degli effetti valutari. La politica di bilancio era neutrale l’anno scorso. La crescita del credito, a lungo soggiogato, è stata positiva, mentre i prezzi delle case sono rimasti stabili nel contesto di una risposta lenta di nuove abitazioni a fronte di un aumento della domanda”.
BANCHE A BASSA REDDITIVITA'
Tutto bene, dunque, se non ci fossero le banche, la spina nel fianco di Angela Merkel. “Il settore bancario deve affrontare molteplici sfide, che si traducono in bassa redditività”, sentenzia il Fmi. Da un lato “i tassi di interesse negativi erodono i profitti dei servizi bancari”, dall’altro l’aggregato del cost to income ratio è superiore del 70% rispetto alle altre banche internazionali e sopra l’80% nel caso delle grandi banche.
IL CASO DEUTSCHE BANK
Il settore è vulnerabile ai tassi bassi, per il suo modello di business: da un lato le Landesbanken pubbliche piene di buchi da tappare, dall’altro l’esposizione di gruppi come Deustche Bank su derivati e titoli “di livello 3″, ad alto rischio e non trattati sui mercati. Non è un caso se il più grande istituto tedesco è stato bocciato agli stress test della Fed, secondo cui presenta ampie e sostanziali debolezze nei processi di pianificazione del capitale e progressi insufficienti per correggere queste debolezze e rispettare le aspettative dei supervisori”.
I RISCHI
A preoccupare dunque, secondo l’Fmi, sono da un lato le casse di risparmio e le banche cooperative che sono molte e hanno un modello di business molto tradizionale, che “dipende dai margini di interesse, come principale fonte di reddito – scrive Il Sole – Queste banche hanno un alto numero di filiali e costi molti alti”. Senza riforme pesanti la stretta sui margini di interesse porterà a un calo della redditività. “Le banche – scrive il Fondo – potrebbero essere tentate, in un ambiente di tassi bassi, di adottare rischiose strategie di ricerca dei rendimenti e le azioni degli istituti di credito hanno sofferto una forte caduta”.
CONTAGIO ASSICURAZIONI
Vulnerabili ai tassi zero sono anche le compagnie di assicurazione tedesche, la cui fonte di reddito sono polizze vita a rendimento garantito troppo alto (3-4%) nella situazione attuale. “Se i bassi tassi continueranno, metteranno alla prova la capacità delle compagnie di far fronte ai propri impegni”, scrive ancora l’Fmi. E la situazione potrebbe diventare ancora più critica con l’entrata in vigore di Solvency 2.
BEN CAPITALIZZATE, MA…
Il report del Fondo monetario passa ai raggi X le varie categorie di istituti di credito. In generale li definisce ben capitalizzati, ma a parte questo i problemi rilevati sono molteplici. Le Landesbanken sono le più a rischio per aver “subito pesanti perdite e per essere fortemente esposte ai derivati”. La quota di nel sul totale degli impieghi è sopra la media, pari al 6,7%. Dopo la crisi il livello di efficienza è aumentato, ma il rischio di un uso inefficiente di risorse pubbliche in alcune istituzioni rimane”, così come le “influenze non commerciali”. I tedeschi non hanno nulla da invidiare agli italiani: il Fondo chiede che le Landesbanken aprano il capitale a investitori privati e riformino la governance. Che sembra di sentir parlare delle nostre Popolari. Le banche commerciali, che sono 273 e pesano per il 39% degli attivi totali, in qualche caso “hanno compiuto significativi tagli dei costi e ridotto l’esposizione alle attività no-core”.
IL FUTURO
“Guardando al futuro, la domanda interna dovrebbe mantenere alla base della dinamica di crescita moderata”, scrive il Fondo, che stima la crescita del Pil dell’1,7% quest’anno e dell’1,5% l’anno prossimo, con l’inflazione verso il 2% grazie a “un piccolo output gap positive, insieme agli effetti delle recenti azioni di politica della BCE”. Tuttavia, questa previsione non riflette ancora l’impatto economico della decisione referendaria sulla Brexit. E i guai stavolta potrebbero andare ben oltre le banche. “La crescita nel medio termine si prevede un calo – conclude il Fondo – a causa di una prospettiva globale ancora incerta, del rapido invecchiamento della popolazione e dei lenti progressi sulle riforme strutturali”.
FONTE: www.formiche.net